Dalla puntata del 21 marzo di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia. L’intervento di Cristina Micheloni, qui puoi sentire l’intera puntata clicca l’intera puntata del programma.
Più volte abbiamo parlato della necessità di portare diversità nei campi e sulla tavola e la ricerca più recente ci conferma quanto la diversificazione a livello aziendale, colturale e alimentare sia un fattore imprescindibile della sostenibilità ambientale (vera, non solo da etichetta) economica e della salute, anzi del benessere, di uomini e animali.
A questi già ottimi motivi si aggiunge la questione dell’efficienza nella produzione di cibo e, per chi vuole ancora credere che la fame nel mondo sia una questione di produzione e non di distribuzione e riduzione dello spreco, l’evidenza che i sistemi diversificati producono di più, per unità di superficie coltivata (più quintali ad ettaro insomma) e hanno meno necessità di fertilizzanti per unità di prodotto raccolto (meno kg di azoto, fosforo e potassio per quintale di mais raccolto, per capirci).
Il momento attuale è perfetto per prendere ispirazione da una recente pubblicazione di un gruppo di ricercatori cinesi ed olandesi (guarda caso due dei paesi che hanno fatto dell’intensificazione agricola un mantra), una metanalisi, ovvero una comparazione di pubblicazioni scientifiche sull’argomento (di cui 47 in inglese e 43 in cinese) sugli effetti della consociazione tra mais e soia. Intendo mais e soia coltivati assieme, a file alterne (o a coppie di file alterne) seminati assieme o in momenti diversi (ad esempio con soia traseminata nel mais in concomitanza con una sarchiatura) e raccolti o assieme o in momenti diversi (ad esempio prima il mais e poi la soia).
I risultati indicano chiaramente come da questi sistemi le produzioni siano più elevate per entrambe le colture, abbiano meno bisogno di fertilizzanti, soprattutto azoto ed anche meno necessità di interventi per il controllo delle malerbe.
E perché tutto questo?
Per un insieme di tanti piccoli e concatenati fattori, tra i quali la positiva interazione e collaborazione a livello radicale dei microrganismi che “seguono” le due colture, la riduzione della lisciviazione dei nutrienti non utilizzati da una coltura e comunque intercettati dal sistema radicale, la copertura del suolo da parte delle colture che non lasciano spazio ne sopra il suolo (luce), ne sotto (nutrienti) alle specie avventizie e mantengono l’umidità.
Insomma un insieme di meccanismi, in parte nemmeno del tutto noti, che conferma come la collaborazione, anche tra piante, sia sempre più “produttiva” dei, pur bravi, solisti.
Lasciatemi dire anche che tutto il concetto, magari non ancora spiegato nei meccanismi fisiologici, è parte essenziale del concetto di agricoltura del non fare di Masanobu Fukuoka ed anche della permacoltura di Bill Mollison.
Ma allora perché non lo fanno tutti?
Da un lato perché la mentalità della semplificazione in agricoltura è prevalente, mentre invece avremmo bisogno di allenarci ed esercitarci su sistemi che più complessi sono e meglio è.
Dall’altro ci sono due problemi pratici da affrontare: a) la meccanizzazione e b) I centri di raccolta e la loro attrezzatura e struttura.
Per quanto riguarda la meccanizzazione, ci servono macchine agili e leggere ma intelligenti, in grado di identificare le colture e muoversi al loro interno con agilità. Su questo tema l’innovazione è molto veloce e va mano nella mano con le forme di agricoltura più attente, come quella biologica. Peccato però che I finanziamenti per la meccanizzazione sostengano solo un certo tipo di “agricoltura di precisione”, quella che con precisione può fare pesanti danni.
I centri di raccolta, essiccazione e prima lavorazione dovrebbero riorganizzarsi e aggiungere delle minime attrezzature, come dei selezionatori. Ne avrebbero un vantaggio nel poter interloquire con gli agricoltori più avanzati. Anche qui, però la mentalità della semplificazione, che fa rima con globalizzazione ma anche monocoltura e bassa redditività, impera.
Come scriveva qualcuno, se c’è da cambiare sistema (e non c’è alternativa!) bisogna prima scardinare le monocolture della mente.
L’articolo citato è: Intercropping maize and soybean increases efficiency of land and fertilizer nitrogen use; A meta-analysis, Zhan Xu, Chunjie Li, Chaochun Zhang*, Yang Yu, Wopke van der Werf, Fusuo Zhang. Field Crops Research, Volume 246, 1 February 2020, 107661
e un’interessante visione di agroecologia in Cina: