Dalla puntata del 4 aprile di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia. L’intervento di Cristina Micheloni, qui puoi sentire l’intera puntata clicca l’intera puntata del programma.
Il 25 marzo il Commissario Europeo all’agricoltura ha finalmente varato il nuovo Piano d’Azione Europeo per lo Sviluppo dell’Agricoltura Biologica.
Dico “finalmente” perché dopo l’inversione quasi a U del Parlamento sul Green Deal e il Farm to Fork (Patto Verde e Strategia dal Campo alla Tavola, per parlare come mangiamo), la discussione sui contenuti è stata piuttosto accesa.
Che cosa dice il piano d’azione? Essenzialmente prevede 3 macro azioni:
1) consolidare la fiducia dei cittadini europei nei prodotti biologici e agevolare lo sviluppo del loro consumo.
Come? Tramite il rafforzamento dei sistemi di certificazione e verifica, il sostegno all’utilizzo dei prodotti bio nella ristorazione collettiva, non solo quella scolastica, la riduzione della tassazione, ovvero dell’IVA sui prodotti bio. Non si parte affatto male, considerando che in 10 anni il mercato europeo del bio è cresciuto del 145%, da 18 Miliardi di € nel 2009 a 141 nel 2019.
2) aumentare la superficie coltivata in bio ma anche favorire la strutturazione di filiere locali che valorizzino il prodotto agricolo bio sia nei circuiti locali che su filiere più lunghe e cosmopolite.
Anche qui non si parte male, considerando che già ci sono 14 Milioni di ettari coltivati in bio nell’Unione Europea e che in Italia già più del 15% della SAU è bio. Più interessante la questione delle filiere, dove gli agricoltori debbono riconquistare un ruolo centrale e non lasciare che altri prendano decisioni e “incassino” sul fronte economico al posto loro. Qui la nuova PAC e nello specifico il PSR dovrà essere lo strumento ma c’è bisogno di azione da parte degli agricoltori, meglio se collettiva!
3) Fare ancora meglio il bio in termini di impatto ambientale.
Visto che è dimostrato, con solide basi scientifiche, che l’agricoltura biologica è lo strumento d’eccellenza per gestire l’ambiente rurale e ottenere i servizi agroambientali di cui abbiamo disperatamente ed urgentemente bisogno, quali aria pulita, acqua protetta in qualità e quantità, biodiversità come specie vegetali, microrganismi, animali… inclusi uccelli e pronubi, stoccaggio di carbonio nei suoli, rete ecologica e tante altre cose fino al paesaggio, ora si può investire in conoscenza per affinare ulteriormente le tecniche.
L’unione infatti propone di dedicare almeno il 30% del budget per la ricerca ai temi del bio, soprattutto quelli con ricaduta ambientale. Ciò dovrà essere messo in rete con gli investimenti, già previsti nella nuova PAC, sui sistemi di conoscenza, ovvero ciò che ora modaiolamente viene chiamato AKIS (Agricutural Knowldege and Innovation System) ma che fino a qualche decennio fa esisteva ed era quella rete di scambio di conoscenze tra agricoltori, tecnici indipendenti (da ditte di mezzi tecnici), ricercatori e chiunque avesse delle competenze utili.
Target: arrivare almeno al 25% di SAU biologica “fatta bene” e valorizzata da circuiti locali o più “larghi” entro il 2030.
Possibile?
Sicuramente sì, se ora gli Stati Membri e le Regioni ci mettono del loro e in modo rapido e pragmatico iniziano a redigere il piano d’azione locale cui dare gambe poi con il PSR e le politiche non solo del settore agricolo, ma anche della formazione ed educazione, della salute, dell’ambiente e dell’industria. Come dicevamo… è il momento della transizione ecologica ed iniziamo dal primario, la transizione agro-ecologica, senza perdere di vista il sistema globale! Che la pandemia ci abbia insegnato qualcosa?
Per chi lo vuole leggere per intero: