Dalla puntata del 25 luglio di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia, l’intervento di Cristina Micheloni. Qui puoi sentire l’intera puntata del programma.
Uno dei refrain che promettono di salvarci dagli impatti ambientali negativi dell’agricoltura intensiva è “precisione”. Ma le tecniche agricole di precisione di per sè non sono nè buone nè cattive, per l’ambiente e per l’economia dell’azienda agricola, come al solito “dipende”!
Dipende da che cosa si vuole produrre e in che cosa si vuol essere precisi… si può essere precisi anche nel fare danni e, di conseguenza, ancor più dannosi. Ma al di là di queste oziose diatribe nominalistiche è evidente come sia divenuta disponibile negli ultimi 2-3 anni una serie di soluzioni tecniche e tecnologiche che, se ben inserite nella gestione aziendale, possono dare una grossa mano a fare meglio il biologico e, di conseguenza, anche a farne di più.
Ma bisogna essere precisi su che cosa significa fare meglio, nel caso del bio: significa agire in modo puntuale ma avendo ben in mente l’intero sistema agricolo ed ecologico aziendale, questo significa molto per la fertilizzazione, ad esempio, dove l’uso dei fertilizzanti organici impone di ragionare sulla fertilità globale del suolo e non solo sulla puntuale nutrizione delle piante coltivate.
Un altro esempio: l’irrigazione deve essere precisa sì, ed anche commisurata alle reali esigenze delle colture, ma non deve sottovalutare l’impatto sullo sviluppo delle radici delle piante coltivate, soprattutto se perenni come la vite o il melo, ed evitare di creare circoli viziosi alla fine dei quali lo scarso e concentrato sviluppo radicale rende ancor più necessario l’intervento irriguo.
Solo pensando alla gestione delle infestanti, che è forse la frontiera più innovativa in questo momento, la possibilità di identificare geograficamente le colture e le singole piante, assieme alla capacità tecnologica di individuare le piante coltivate e riconoscerle rispetto alle infestanti (tramite la visione del colore) ha permesso a diversi costruttori di realizzare macchine in grado di agire meccanicamente non solo tra le file di soia, mais girasole e anche orticole, ma anche sulla fila, tra una pianta e l’altra. Attrezzati con le stesse tecnologie, sono già in commercio anche dei robot in grado di lavorare autonomamente, alimentati da energia elettrica, anche all’uopo dotati di pannello. Ciò permette di alleggerire il peso della macchina e quindi di non impattare troppo sul suolo, ma anche di entrare in campo con più solerzia e meno dipendenza dagli eventi climatici.
Questa è una precisione che ci aiuta, ma non fa tutto da sola e non può prescindere dalla rotazione delle colture, da una sana gestione del terreno, dalla conoscenza delle caratteristiche del luogo che guida la scelta delle specie e delle varietà da coltivare.
Insomma anche il migliore dei robot ha bisogno di persone, agricoltori, sempre più formati ed informati per diventare uno strumento utile.
Di nuovo: il punto è imparare a fare agricoltura con la natura e non emanciparsi da essa come un tempo la chimica promise (era il periodo della rivoluzione verde) ed ora qualcuno pensa si possa fare la tecnologia.
Prima di salutarvi ed augurarvi una buona estate vi segnalo che di tutto questo parleremo e soprattutto vedremo e toccheremo con mano la settimana prossima, il 29 luglio a casali Birri, Rivignano-Teor, durante la giornata delle macchine in campo per il bio, organizzata da AIAB FVG e ERSA…
sì, ci sarà anche il robot…
ma anche attrezzature per orticoltura di piccola scala, trapiantatrici in grado di lavorare sulla pacciamatura vegetale, rulli per terminare i sovesci e tanto altro…
Qui il link per informazioni e iscrizioni alla Giornata macchine in campo per il bio.