Dalla puntata del 5 dicembre 2021 di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia, l’intervento di Cristina Micheloni. Qui puoi sentire l’intera puntata del programma.
Sull’onda del delirio tecnicistico per cui pare che le uniche soluzioni per affrontare i tangibilissimi problemi ambientali (clima incluso) pendano da qualche nuovissima invenzione, tipo una mega macchina che spara la CO2 sotto terra o una pianta mutante in grado di organicare, da sola, le emissioni di un jet -ovviamente tutto ancora da inventare e con la necessità di grossi investimenti in ricerca e innovazione, meglio se coperti dal pubblico- forse varrebbe la pena, vista l’urgenza, di guardarsi attorno e vedere se magari nel frattempo si può fare qualcosa con quello che già c’è e si sa.
Tra l’altro, visto che alla scienza ci affidiamo, teniamo presente che anche l’ecologia è una scienza ed anche bella complessa, forse troppo complessa per chi invece cerca soluzioni nuove sì, ma semplici, forse troppo semplici per essere davvero efficaci.
Di che parlo?
Prendiamo un problema alla volta: il declino della biodiversità e la drastica diminuzione degli apidoidei, ovvero delle api, sia quelle allevate, che producono il miele, sia quelle selvatiche, gregarie o meno, che sono comunque fondamentali per l’impollinazione dei fruttiferi e di molte piante, anche quelle che gli umani non usano direttamente ma che agli umani forniscono molti servizi.
Da anni verifichiamo nella stagione primaverile di quanto si siano ridotte le popolazioni dei pronubi e ce lo confermano gli apicoltori, per i quali i rischi di non portare a casa miele o, peggio, di perdere le famiglie sono sempre più frequenti.
Dati scientifici alla mano, ultimi quelli della meta-analisi svolta dal Thunen Institute nel 2019, nelle aziende biologiche ci sono il 23% in più di diversità e il 26% in più di quantità di specie di insetti che visitano i fiori, quindi tutti gli apidoidei ma non solo.
Questo comparando aziende bio e convenzionali delle stesse tipologie di produzione e negli stessi areali e fasce climatiche.
In realtà l’analisi riporta anche dei dati più ampi sull’effetto della conduzione biologica sulla biodiversità dei territori: sui seminativi la gestione bio porta in dote un +95% di biodiversità mettendo assieme, insetti, piante e uccelli.
Questo conferma dati un po’ più vecchi ma sempre scientifici (anche la botanica, l’ornitologia, l’entomologia e la biologia sono scienze, anche se non si praticano solo in laboratorio ed in camice bianco) secondo i quali la presenza del 5-20% di superfice bio in un areale agricolo comporta il 50% in più di biodiversità nelle aree non coltivate incluse in tutto il territorio, pure le aziende convenzionali.
E per ritornare alle api, la presenza di un 5-20% di superfice bio aumenta del 60% la presenza di apidoidei e, nello specifico, del 150% quella dei bombi su tutto il territorio.
Insomma il bio fa bene pure a chi non lo pratica!
Adesso è chiaro perchè è strategico sostenere e sviluppare in biologico, che è ciò che sostiene la Commissione Europea con il Farm to Fork, tanto avversato da diverse Regioni.
E’ qualcosa che si può fare da subito, che non richiede così tanti investimenti e che va a beneficio, ambientale ma anche economico, di molti e non di pochi.
Eppure a tanti piace di più aspettare l’arrivo di una scientifica bacchetta magica!
Per fonti e approfondimenti: