Negli ultimi 3 anni si è aperta anche in Italia la possibilità di coltivare e valorizzare nel biologico le barbabietole da zucchero. Questo perchè l’unica filiera saccarifera italiana “sopravvissuta” alla ristrutturazione del settore ha attivato una linea di prodotto biologico, con trasformazione della materia prima nazionale.
La nostra regione in passato aveva un settore bieticolo (convenzionale) sviluppato che però negli anni si è praticamente estinto, perdendo sia competenze che meccanizzazione. Ora alcuni agricoltori bio ci stanno riprovando, dovendo recuperare parte delle esperienze e competenze dissipate ma anche cimentandosi con il metodo biologico che impone dei ripensamenti profondi nella gestione delle rotazioni, nella fertilizzazione, nella gestione di patogeni e parassiti e… nota di particolare criticità, la gestione non chimica delle infestanti.
E infatti quello che risulta essere il principale fattore di difficoltà è proprio tenere pulita la coltura, che per sua natura non è mai competitiva nei confronti delle malerbe, tant’è che non copre la superfice dell’interfila nemmeno a pieno sviluppo.
Che fare allora?
Ovvio che senza le misure preventive quali la rotazione con magari l’inclusione di sovesci con particolare attività soppressiva nei confronti delle infestanti (come un sorgo sudanese) e la preparazione del letto di semina in modo tale da portare il terreno a un ottimo livello di pulizia, non se ne parla proprio di farcela.
La stagione della semina non consente di fare delle false semine e quindi ci rimangono solo gli strumenti meccanici come la strigliatura nelle prime fasi e la sarchiatura in seguito. In realtà ci sono anche i primi risultati dell’adattamento di alcune macchine nate per l’orticoltura, che con qualche modifica possono tornare utili anche qui. Si tratta di sarchiatrici a coltelli o lame verticali, guidate da videocamere che hanno il compito di riconosce le malerbe rispetto alla barbabietola, cosa che però al momento, ovvero allo stato attuale dello sviluppo tecnologico, non è proprio semplicissimo, ma lascia ben sperare.
Un’altra opzione, su cui alcuni ricercatori svizzeri stanno lavorando avendo tratto ispirazione dalla pratica giapponese, è trapiantare le barbabietole invece che seminarle, cosa che si può fare, ad esempio, con una trapiantatrice da tabacco. I pro sono un rapido sviluppo iniziale, che permette un bel vantaggio sulle malerbe, ma anche un minore rischio legato alle limacce e all’altica e, non da ultimo, un ciclo di coltivazione di 6-8 settimane più lungo, cosa che consente di ottenere maggiori produzioni, visto che la barbabietola bio è la prima ad essere raccolta per motivi di logistica della lavorazione.
Ovvio che i costi d’impianto sono ben più alti, ma se ciò fosse controbilanciato da minori interventi per il controllo malerbe, miglior status fitosanitario delle piante e maggior resa….
Ne varrebbe la pena!