Dalla puntata dell’29 maggio 2022 di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia, l’intervento di Cristina Micheloni. Qui puoi sentire l’intera puntata del programma.
Iniziamo questa serie “extra” dedicata al bio e finalizzata a descrivere l’attuale realtà del settore, le sue potenzialità e le difficoltà con un’occhiata a due dei comparti di recente maggior sviluppo a livello regionale: la viticoltura e la frutticoltura.
La viticoltura bio friulana oggi conta su oltre 2000 ha (ultimi dati ufficiali al 2019 dicono 1600 ha), considerando che 10 anni or sono ce n’erano meno di 400 ha, lo sviluppo è evidente. In termini percentuali ancora poco, molto meno del vicino Veneto, del Trentino, per non dire della Toscana.
Ma non si ricada nel luogo comune che “in Friuli è più difficile fare bio per via del clima”, perchè aree “difficili” come la Franciacorta, dove il 60% del vigneto è bio, o al più vicino Lison-Pramaggiore, dove nonostante l’umidità si arriva al 15%, testimoniano che.. si può fare!
Quali sono i maggiori limiti della viticoltura bio?
Per una volta la risposta non è “la mancanza di una filiera regionale” perchè la maggior parte dei viticoltori bio si occupa anche della vinificazione e della commercializzazione e c’è anche un accettabile livello di collaborazione tra i vignaioli bio (…sempre nella loro friulanità…).
C’è anche un buon livello di supporto tecnico disponibile.
Ciò che pesa di più è da un lato la frammentazione delle proprietà dei vigneti, che aumenta il rischio (che è in effetti concreta evidenza) di deriva e quindi di impossibilità di certificare il vino come bio, ma anche alcune difficoltà nella difesa, non solo la peronospora, ma soprattutto la flavescenza dorata e le malattie del legno (che in realtà sono un problema per tutta la viticoltura).
Ciò non significa che non vi siano vie praticabili all’interno delle regole del bio, molte aziende sono un buon esempio, ma di certo è richiesta maggior competenza, attenzione e “attrezzature”, mentali e materiali, ed è questo l’aspetto che funge da freno.
Fuor di dubbio che per fare bene il bio bisogna pendere in considerazione un concetto per troppi desueto: la vocazionalità dei territori.
Ovvero, se vuoi produrre bene uva di qualità e vuoi lavorare con la natura e non contro di essa, evitando così fatica e chimica, è meglio scegliere di produrre ciò che in quel luogo cresce bene già di per sè. Quindi la viticoltura in collina è più semplice in bio che non in pianura, anche la scelta delle varietà e del portinnesto deve considerare il clima specifico e ciò che può esprimersi al meglio.
Vero è che, nelle aree vocate il metodo bio non solo è relativamente semplice, ma facilita anche la miglioe e più autentica espressione del territorio.
Frutticoltura bio in FVG: soprattutto mele, sia di varietà resistenti o tolleranti alla ticchiolatura e ad altre patologie fungine, sia da varietà standard, con un progressivo ma continuo aumento delle prime. Un po’ anche di kiwi e in crescita la nocciola.
Ciò che manca davvero è la frutta estiva, ovvero le drupacee come pesco, albicocco, ciliegio e susino. I percorsi tecnici per gestirli in bio ci sono ma diciamo che mancano degli esempi solidi cui potersi ispirare e le incertezze climatiche (soprattutto primaverili) non infondono coraggio a chi vuole cimentarsi. Il mercato ci sarebbe e anche interessante, sia per la vendita diretta che per percorsi un po’ più articolati.
Le mele bio friulane sono in piccola parte vendute direttamente o comunque a livello locale, mentre una buona percentuale prende la via dei mercati più lunghi.
Sulla frutticoltura bio la mancanza di una strutturata filiera locale si sente e “pesa”, portando anche a paradossali situazioni come l’assenza delle pur disponibili mele bio locali nella ristorazione scolastica… peccato, ma proviamo anche a risolverla questa situazione, amministratori locali: parliamone!