Dalla puntata del 12 giugno 2022 di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia, l’intervento di Cristina Micheloni. Qui puoi sentire l’intera puntata del programma.
Eccoci al secondo appuntamento sullo stato dell’arte del biologico in FVG. Oggi vedremo come sta e dove va l’orticoltura biologica.
Intanto come sta: diverse le aziende che praticano professionalmente l’orticoltura bio, circa una sessantina, la maggior parte per la vendita diretta in azienda o nei mercati o ai gruppi d’acquisto o nei negozi locali e molto poche (1 mano basta a contarle) quelle che invece si interfacciano con le strutture organizzate che arrivano ai supermercati o alla ristorazione collettiva.
Che cosa producono: ovviamente un po’ di tutto, sia per rispettare le regole della rotazione ma, soprattutto perchè la vendita diretta esige diversità, sia sul banco del mercato che nel tempo. Non si pensi principalmente agli ortaggi estivi (peperoni, pomodori, zucchine..), perchè sono senza dubbio più interessanti dal punto di vista economico ed anche, nelle nostre condizioni climatiche, più semplici da gestire dal punto di vista agronomico gli ortaggi autunno-vernini come cavoli, broccoli, la grande famiglia dei radicchi, finocchi, porri…
Da precisare che oltre all’orticoltura bio in pieno campo, nella nostra Regione, quasi tutte le aziende orticole bio sono dotate di almeno una parte di strutture per la coltivazione protetta. Significa serre o tunnel dove si può lavorare con primizie e tardizie ma, dove comunque le regole del bio impongono di non riscaldare artificialmente l’ambiente, nè di aumentare o prolungare l’illuminazione, nè di addizionare anidride carbonica e, men che meno, la coltivazione fuori suolo.
Di crescente interesse le colture poliennali come gli asparagi (più facili i verdi ma più che possibili pure i bianchi), i cardi e i carciofi.
Avrete notato come non abbia sinora nominato manco una leguminosa. Molto interesse per fagioli, ceci, lenticchie, piselli, però sempre meno disponibilità da parte del consumatore a comperarli freschi. Quindi vanno raccolti da secco, uscendo dalle colture propiamente orticole e andando verso quelle seminative.
E allora come si fa a portare l’azoto? Ça va sans dire… sovesci!
Non ho nominato nemmeno cipolle, carote e aglio, perchè ci sono ma in quantità limitata, giacchè un pò più difficili da coltivare in bio. Perchè? Perchè non coprono mai il terreno con le proprie foglie e lasciano quindi spazio alle erbe infestanti. I convenzionali vanno di diserbanti, in bio si va di lavorazione meccanica e di prevenzione… ma, insomma, è un po’ più complesso.
Guardando al futuro: si può fare di più?
Certo che sì, la domanda c’è, la potenzialità agricola pure.
E allora? In regione non abbiamo una tradizione orticola, quindi qui più che mai un efficiente servizio di asistenza tecnica e di formazione sarebbe strategico. Quello che facciamo come AIAB FVG è qualcosa, la collaborazione con ERSA consente di produrre i regolari bollettini, però insomma, ci sarebbe necessità di qualcosa di più, perchè spesso non si tratta di trasformare in bio delle aziende orticole convenzionali, ma di arrivare all’orticoltura bio partendo dalle produzioni seminative convenzionali, insomma un doppio salto in avvitamento, dove un supporto tecnico continuo è necessario ad evitare di farsi male.
Che altro si potrebbe fare di più e di meglio? Il solito refrain ma mai così vero: aggregare i produttori!
Ciò consentirebbe sia di affrontare la trasformazione (salsa di pomodoro, conserve, ma anche essicazione dei legumi) in dimensioni più significative rispetto all’attuale, sia di affrontare, non dico la grande distribuzione (ma perchè no?) ma almeno la ristorazione collettiva.
Sarò più esplicita: nelle mense scolastiche dove si mangia bio sarebbe auspicabile che il bio fosse anche locale (per la qualità, la freschezza, la ricaduta territoriale… tanti buoni motivi) ma condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinchè ciò avvenga è la collaborazione tra orticoltori che si complementino per tipologia e quantità di prodotti. Le altre condizioni sono la razionalità nella formulazione dei menù (l’insalata bio locale d’inverno non c’è, ma c’è dell’ottimo radicchio e non è vero che ai bambini non piace!), la programmazione pluriennale delle produzioni e una seria revisione dei prezzi pagati ai produttori, che non necessariamente implica un aumento del buono pasto.