Dai seminativi le più interessanti evoluzioni?

27.06.2022

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Dalla puntata del 26 giugno 2022 di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia, l’intervento di Cristina Micheloni. Qui puoi sentire l’intera puntata del programma.

Terza puntata su come sta e dove va il biologico regionale, questa volta focus sulle colture seminative. Una differenza importante rispetto ai seminativi convenzionali è il fatto che nel bio è fondamentale la rotazione delle colture (con tanto di requisiti minimi per essere certificati!), quindi qualunque azienda bio non produrrà mai una sola coltura ma almeno 3 o 4, meglio se di più.

Che cosa si produce?

I cereali autunno vernini come il frumento, l’orzo e il farro sono piuttosto semplici da gestire in bio e quindi compaiono sempre nella rotazione.

Ma anche la segale per uso panificatorio, un po’ di avena, sempre per uso alimentare e c’è spazio anche per quelli che vengono usualmente definiti “cereali antichi”, termine che a forza di usarlo a sproposito credo si stia usurando tra le mani di coloro i quali ne fanno uno spregiudicato market claim. Si tratta, in realtà, di qualche vecchia varietà (vecchia, non antica!) come il Verna o San Pastore o l’Abbondanza o il Senatore Cappelli, interessanti perché meno esigenti in termini di fertilità del suolo – talvolta (ma non sempre) più resistenti ai patogeni e con qualità sensoriali e nutrizionali di pregio -.

Più interessante l’uso delle composite, ovvero materiale genetico eterogeneo derivante da migliaia di incroci e in grado di adattarsi ed evolvere con il territorio, il clima e l’agricoltore che lo coltiva. Vengono comunemente chiamati “miscugli”, come il nostro preferito miscuglio Ceccarelli o SOLIBAM, ma dietro c’è ben più lavoro del mescolare.

Si coltiva poi con buon successo in regione la soia bio, sia per uso zootecnico che per uso umano.

Diciamo che è una delle colture con cui si potrebbe caratterizzare il seminativo bio friulano, perché qui indubbiamente cresce bene, sia come prima che come seconda coltura, essendo una leguminosa si arrangia per l’azoto e non ha particolari fragilità. Anche il controllo delle malerbe, se in una buona rotazione e con adeguata attrezzatura meccanica, non è di particolare difficoltà. Peccato che buona parte del valore aggiunto legato a stoccaggio, lavorazione e commercializzazione vada fuori regione e peccato anche per il fatto che l’utilizzo zootecnico sia ancora quello principale.

In crescita, con qualche incertezza, il girasole, sia quello alto-oleico che quello ad alto-linoleico che se la giocano alla pari. Molto interesse per il colza anche se il controllo del meligete richiede delle strategie agronomiche un po’ più complesse, ma diciamo che ci stiamo lavorando su.

Negli ultimi tre anni è ricomparsa anche la barbabietola da zucchero.

Si stanno consolidando delle filiere molto interessanti attorno al miglio ed al grano saraceno, colture estive per uso alimentare che anche in caso di siccità non si scompongono granché, così come il sorgo da granella per uso zootecnico.

Molto interessante (ma si sa che è la mia passione) l’evoluzione positiva nella coltivazione di tutte le leguminose da granella, come il pisello, il cece, la lenticchia che sono riapparsi pochi anni fa nelle campagne friulane e stanno pian piano conquistando spazio. L’interesse dei consumatori c’è e tanto, quello su cui si sta lavorando sono le tecniche di coltivazione, soprattutto attraverso la consociazione con altre colture.

E la “blave”? Profetica fu una serie di incontri che AIAB FVG organizzò nel 2014 tra il Medio e il Basso Friuli dal titolo “tirìn fûr el cjâf de blave”.

Ebbene, di mais in bio se ne fa poco ed essenzialmente per uso umano (polenta ma anche gallette). Perché?

Perché richiede troppo in termini di energia, acqua, lavoro, fertilizzanti… e ritorna troppo poco in termini economici se va sui mercati globali e peggio con peggio se per uso zootecnico. Diverso è per chi se lo macina in proprio e arriva sul mercato con la farina o il prodotto pronto, che sta ancor meglio se utilizza varietà locali e spesso autoprodotte. Non si intenda che il mais in bio non si può fare, ma, lo ripeto: si può fare nel contesto giusto (dove ci sono terreni fertili e disponibilità di acqua), nella giusta rotazione colturale e con la giusta remunerazione.

Nel riassuntivo panorama che sto andando a concludere manca un attore fondamentale nella coltivazione biologica dei seminativi: i sovesci… autunno-vernini, estivi, di leguminose, di miscugli… in tutta la fantastica diversità di composizione e scopi che li caratterizza. Sono un elemento essenziale della rotazione, senza i quali ogni altro ragionamento su meccanizzazione, scelta varietale, scelta dei fertilizzanti etc… è aleatorio.

Come dice Jeff Moyer del Rodale Institute in Pensilvania: “il sovescio è la coltura su cui concentrare attenzioni e anche investimenti. Fatto bene quello… tutto ciò che segue va in discesa!”

Per concludere: nei prossimi anni il settore dei seminativi sarà verosimilmente quello che andrà incontro a maggiori cambiamenti e vedrà aumentare in modo significativo la sua parte di bio. Lo spazio d’azione c’è ma bisogna tirar fuori il “cjaf de blave” in tutti i sensi e pensare a colture diverse, per usi diversi, con tecniche agronomiche e strategie che poco hanno a che vedere con il business as usual. Gli esempi ci sono!

Bollettini seminativi bio: https://www.aiab.fvg.it/…/04-2022-bollettino-seminativi/

Tutta la serie degli incontri “tirìn fûr el cjâf de blave”: https://www.youtube.com/watch?v=c/AIABFVGAPS/videos

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