Dalla puntata del 17 Luglio 2022 di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia, l’intervento di Cristina Micheloni. Cliccando QUI puoi ascoltare la puntata per intero.
Davvero la crisi climatica ed ambientale sembra non essere percepita in tutta la sua gravità ed urgenza, nel senso che c’è sempre qualche altra crisi (la guerra, l’inflazione, l’energia…) che riesce ad apparire più urgente e rilevante e quindi mettere in secondo piano ciò che invece dovrebbe essere al primo. Non è proprio il caso di fare la classifica di che cosa sia più importante o urgente, se davvero siamo “sapiens” dovremmo essere in grado di vedere il problema nel suo insieme e magari anche tentare di affrontarlo per quello che è: una crisi complessa che include ambiente, clima, economia, energia e convivenza sociale oltre che il livello di salute e benessere dei sapiens medesimi.
Dall’annuale report di ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), pubblicato la scorsa settimana, abbiamo chiari i dati di quanto continuiamo a erodere la terra sotto i nostri piedi. La togliamo all’attività agricola ma anche all’espressione naturale di prati, boschi e incolti per farne edifici, strade, parcheggi, svilcoli e tutto quello che si può fare ricoprendo il suolo vivo con del cemento. E mentre la popolazione italiana diminuisce e, teoricamente, la consapevolezza di quanto sia fondamentale preservare il suolo e tutti i servizi ecosistemici che ci regala, aumenta, la cementificazione accelera: nel 2021 raggiunge il tasso più elevato dell’ultimo decennio, più di 2 metri2 quadri al secondo, ovvero quasi 70 km2 di nuove coperture artificiali. Il che ci porta ad un totale di 7,13% della superficie nazionale coperta da cemento (21.500 km2, di cui 5.400 sono edifici) a fronte di una media Ue del 4,2%. Questo 7,13% potrebbe diventare più del 10% se venisse calcolato solo sulle aree idonee, ovvero togliendo la parte montana più ardua, dove, per fortuna, ancora nessuno ha interesse a costruire.
Che cosa ci siamo persi con questi 21500 km2, ovvero 363 m2 per ciascuno di noi? La capacità di infiltrazione dell’acqua meteorica e la regolazione del ciclo idrologico, lo stoccaggio del carbonio, la biodiversità, la regolazione del microclima (cosa che in città si sente bene di questi tempi), il controllo dell’erosione, nonché la produzione agricola e forestale che si poteva ottenere. Servizi che ISPRA calcola essere attorno agli 8 miliardi di euro, cui andrebbero aggiunte quelle cose a cui è difficile dare un valore economico come il paesaggio, il benessere psicofisico, l’economia di comunità e tutte quelle “sciocchezzuole” da ambientalisti con cui usualmente vi tedio.
E il FVG come sta messo? Partecipa alla frenesia nordestina con percentuali dell’8-15% di suolo consumato annualmente, ovviamente con picchi più elevati in pianura e in prossimità dei centri urbani maggiori.
Se mettete assieme questi ettari “persi” dall’agricoltura a causa della cementificazione con quelli “persi” a causa dell’abbandono (20 milioni di ettari = 11% delle terre agricole dell’Unione Europea dal 2015 al 2020, con un 20% di SAU persa da l’82 al 2020 nel nostro paese), risulta evidente, ancora una volta, un punto critico:
ovvero che la chiave non è intensificare l’uso del suolo con forme di agricoltura ad alto input e altrettanto alto costo e impatto, bensì usare bene la terra che abbiamo, riconoscendo a chi la gestisce con cura – che quindi ne garantisce tutti i servizi ecosistemici – un reddito adeguato e il riconoscimento della propria professionalità.
Buona estate!
Per un po’ non ci sentiremo, quindi vi lascio di seguito il link all’intero report ISPRA.
