Durante l’estate il desiderio di leggerezza da un lato e il susseguirsi di eventi meteorologici estremi e drammatici dall’altro, hanno distratto l’attenzione di tv, giornali, social, guru-gourmet e politici a caccia di consenso di massa da un tema su cui molto si è detto (a proposito e a sproposito) nei mesi precedenti e su cui il fresco dell’autunno verosimilmente riaccenderà i riflettori: la carne coltivata.
Mi riferisco a quella che i guru-gourmet di cui sopra chiamano anche carne sintetica, artificiale, di laboratorio, insomma quella che si ottiene coltivando delle cellule staminali di origine animale in un bioreattore, ovvero un vascone, “fertilizzandole” con proteine, carboidrati e grassi di derivazione vegetale, che vanno a ricreare una soluzione simile a quella che le cellule troverebbero all’interno dell’animale da cui sono state estratte. Niente di sintetico quindi, di artificiale sì, di laboratorio… fino ad un certo punto.
Ma, come ci ricorda Enos Costantini, la carne coltivata c’è sempre stata, sotto la forma di fagioli, ceci, piselli, cicerchie, fave e via andare di legumi da granella, detti anche la “carne dei poveri”.
Mentre, almeno per ora, la carne coltivata da cellule staminali è “carne per ricchi”, ma si sa che le cose tecnologiche costano tanto all’inizio.
Ma perché ne parliamo? Perché di cose certe ne abbiamo poche ma tra queste: 1) che il nostro consumo di carne ed il modo in cui alleviamo gli animali non sono compatibili con la salute nostra e del pianeta; 2) gli allevamenti intensivi, che sono quelli da cui proviene la maggior parte della carne consumata anche in Regione, sono responsabili di quasi il 20% delle emissioni di gas serra.
Ergo, dobbiamo affrontare quel pezzetto della transizione ecologica che si chiama “transizione proteica” e trovare modi (non uno ma più d’uno) per non mangiarci il pianeta arrostendolo. Di come si possa fare allevamenti compatibili con clima, biodiversità, salute umana e benessere animale si è già detto molto nelle stagioni passate, nelle prossime puntate invece vorrei approfondire come coltivare e usare la carne coltivata tradizionale. Perchè ceci, fagioli e lenticchie sono un’alternativa già disponibile, economica e facile da imboccare, però ancora pochissimi di noi la praticano da consumatori. Detto in altre parole: mangiamo ancora troppo pochi legumi e quando lo facciamo li interpretiamo come contorno e non come piatto principale!
Dall’altro lato, ancora troppa parte dei legumi da granella vengono importati da fuori Europa (lenticchie e fagioli rossi dal Canada, ceci dal Messico, altri fagioli da Turchia, Argentina e Stati Uniti), cosa che ci fa perdere la grande opportunità del beneficio che tale coltivazione apporterebbe ai nostri terreni, è un’opportunità persa anche a livello commerciale e di diversificazione colturale ed il trasporto su lunghe distanze diminuisce il benefit ambientale.
Bene, allora da qui a fine anno preparatevi ad un gran minestrone di legumi ed a sentirmi “tontonare” ancora su quanto siano belli e buoni. Avete sempre l’alternativa della carne coltivata artificiale, il cui mio principale dubbio è costituito dalla situazione di concentrazione di potere su ciò che mangiamo nelle mani di poche grandi industrie.
Il non fare nulla e continuare a mangiare ed allevare come facciamo ora semplicemente non è un’opzione!